LIBRI
L’aldilà che ci attende
Che senso ha la vita? Possiamo sapere qualcosa di certo sulla dopo la morte? Possiamo prepararci a questo evento? Perché il dolore? Potremo reincarnarci? Manterremo la nostra personalità o ci fonderemo nel tutto? Le nostre esperienze, i nostri ricordi che fine faranno? Rivedremo i nostri cari? E i nostri animali domestici?
Il concetto di vita oltre la morte sembra appartenente al passato, più superstizione che scienza, ma possiamo in qualche modo sapere qualcosa riguardo quello che ci aspetta dopo la morte?
Oggi abbiamo ricerche e studi che, se affrontati seriamente, possono davvero darci delle risposte, confermando l’esistenza di una vita oltre la morte, e nessun oscuro baratro, ma un mondo luminoso e vivace, e nulla è più consolante di sapere, invece di credere.
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Soli, disadattati e manipolati
La tecnologia ci solleva da molti oneri, compresa quella di pensare. I numeri di telefono, gli appuntamenti, i percorsi per andare da qualche parte, la ricerca di informazioni, foto e quant’altro è tutto memorizzato e disponibile su qualche dispositivo. Pensare, memorizzare, riflettere non è più così indispensabile, e questo costituisce un problema. Per imparare è necessario farsi delle domande, approfondire gli argomenti, valutare gli elementi.
Usiamo i computer perché ci risparmia lavoro mentale e accelera i processi lavorativi, così come prendiamo l’auto perché ci risparmia fatica e accelera la nostra capacità di spostamento. Molto comodo, ma così facendo ci muoviamo troppo poco, e questo comporta grossi problemi. Con i media digitali è la stessa cosa, appartengano ormai alla vita quotidiana, ma hanno un potenziale di dipendenza come l’alcol, la nicotina e le altre droghe.
Una volta ciò che era scritto eravamo abituati a leggerlo, oggi ci limitiamo a scorrerlo velocemente. un argomento veniva approfondito, oggi si naviga in rete. si scrivevano lettere, oggi tweet o commenti in rete, con cui non è possibile comunicare molto.
Una cosa è leggere una parola, trascriverla, farla propria, un’altra trascinarla su uno schermo o usare il copia e incolla. Computer, tablet e smartphone ostacolano, o impediscono del tutto, l’approfondimento, favorendo la superficialità.
Avendo sempre a disposizione i motori di ricerca, spesso pensiamo di non aver bisogno di memorizzare le informazioni. Dovessero servirci, andremo a cercarle. L’ausilio dei mezzi informatici ci porterà a ricordare “dove” si trovi l’informazione piuttosto che i dettagli dell’informazione stessa.
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Da preda a predatore
Ci dimentichiamo troppo spesso di essere animali, pensanti, ma sempre animali, e per giunta predatori. Il comportamento predatorio è un comportamento istintivo che fa parte del repertorio dei comportamenti che ci caratterizzano. Dove c’è una preda ci sarà sempre un predatore, ma se la preda decide di non esserlo più, anche il predatore dovrà cambiare strategia.
Impariamo a conoscerci, impariamo a conoscere e a gestire meglio le nostre emozioni, cosa queste suscitano dentro di noi, impariamo a “usare” meglio la nostra mente, lavoriamo sulla nostra sequenza predatoria.
Smettiamo di comportarci come prede, scegliamo di trasformiamoci in predatori.
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Il fascino della persuasione
Quando parliamo con qualcuno lo influenziamo. E se anche non diciamo nulla, il nostro silenzio lo influenza.
La comunicazione cambia la neurochimica dei cervelli, cosa che raramente accettiamo per il timore di passare per manipolatori, ma, consciamente o meno, tutti manipoliamo i pensieri, i sentimenti e le azioni delle persone.
Oggi la capacità di comunicare è ritenuta ancora più importante dell’ambizione, dell’educazione, del lavoro e anche delle competenze tecniche.
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Ritroviamo e potenziamo la nostra autostima
Autostima significa credere in se stessi, avere fiducia nelle proprie capacità, concretamente possiamo dire che l’autostima è
una serie di convinzioni su se stessi e sulla propria identità. Parliamo di convinzioni, quindi in realtà chi siamo? E soprattutto, chi crediamo di essere? Come ci etichettiamo?
Riuscire a migliorare la propria autostima non vuol dire diventare perfetti. Non vuol dire neanche riuscire a credere o autoconvincersi di essere perfetti. Migliorare la propria autostima vuol dire, innanzitutto, conoscere un po’ meglio se stessi, anche se guardare dentro se stessi è una delle cose che più fa paura. Ci vuole coraggio per scoprire qualcosa in più su noi stessi, perché temiamo di scoprire qualcosa che potrebbe non piacerci.
Di fatto siamo prigionieri dei modelli che ci vengono imposti, e così facendo passiamo gran parte del nostro tempo a sognare di diventare ciò che non siamo, a fare nostri gli atteggiamenti che riteniamo “vincenti”, “perfetti”, ma che non sono i nostri. Da qui nasce l’inadeguatezza, il senso di colpa, la paura del fallimento, la delusione, l’insicurezza, alla fine l’infelicità.
Le convinzioni sono alla base del nostro carattere, del nostro modo di vedere le cose e di comunicare. Cominciamo a mettere in discussione le nostre convinzioni, perché sicuramente sono limitanti. Se ci comportiamo in una certa maniera, non è detto che questo comportamento rifletta quello che effettivamente siamo. Comportamento e identità sono due cose differenti, se ci comportiamo da timidi non è detto che lo siamo veramente, magari lo pensiamo perché lo eravamo da piccoli, o perché la nostra maestra ci aveva detto che lo eravamo, mentre avevamo solo un problema con lei, e, alla fine, ci siamo convinti di esserlo.
La verità riguardo all’autostima è che questa deve avere origine dal nostro interno.
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L’efficacia della persuasione
La persuasione è la capacità di produrre negli altri delle convinzioni e dei valori, influenzandone i pensieri e le azioni utilizzando delle strategie. Siamo tutti motivati a cercare il piacere e a sfuggire il dolore, quindi il nostro comportamento può essere riassunto come una risposta agli stimoli che ci avvicinano ai nostri obiettivi o che ci allontanano dalle nostre paure.
Il processo di persuasione consiste nel convincere gli altri del fatto che, seguendo le proprie convinzioni o modificando i propri valori, la vita cambia in meglio. I maestri in fatto di influenza e persuasione sono accumunati dal fatto di avere una visione, e naturalmente non si tratta semplicemente di una visione personale, hanno la capacità di influenzare gli altri portandoli a condividere la loro visione. Il potere di influenzare è certamente il pregio comunicativo più importante che si possa avere, e si può apprendere.
La gente non compra un prodotto, compra uno stato mentale. Lo stato mentale di una persona è quindi molto importante da considerare. Una volta individuato possiamo persuadere il nostro interlocutore mostrandogli come arrivare allo stato mentale voluto.
Siamo dei risparmiatori di energie, in costante ricerca di scorciatoie di ragionamen- to e soprattutto abbiamo la necessità di procedere in modo “economico”. Sappiamo cogliere segnali parziali ed incompleti, informazioni sommarie e ottenere conclusioni da un minimo di informazioni e sintesi rapidissime basate su pochi dati. I persuasori lo sanno, e ci possono colpire proprio lungo le scorciatoie del pensiero per spingerci ad azioni e decisioni sbagliate.
Siamo ingenui, facili prede di venditori, rappresentanti e operatori d’ogni genere. Con una frequenza imbarazzante ci ritroviamo prodotti e servizi he non desideriamo affatto. Ma quali sono i fattori che convincono una persona a dire di sì? E quali sono le tecniche che sfruttano con più efficacia questi fattori? Perché una richiesta fatta in un certo modo viene respinta, e in un altro ottiene il risultato voluto?
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L’effetto della comunicazione
Le intenzioni, per quanto positive, nella comunicazione hanno poco valore. Se vogliamo che nostro figlio studi, e per motivarlo lo schiaffeggiamo, come risultato avremo solo un bambino che vedrà un padre aggressivo. Siamo abituati a punire gli errori, ma è molto più efficace, ai fini della motivazione, l’apprezzamento quando va tutto bene. In entrambi i casi si crea un’associazione mentale, la prima è “sbagli, quindi paghi”, la seconda è “fai bene, quindi prendi un premio”.
Nella comunicazione quello che conta è il risultato, se abbiamo ottenuto quello che volevamo, allora il metodo si conferma come valido. In questo c’è un aspetto interessante, quello dell’assunzione di responsabilità da parte nostra sul il tipo di messaggio che trasmettiamo. Se, ad esempio, litighiamo con qualcuno che ci ha offeso, più che chiederci perché ci ha offeso, sarebbe meglio che ci chiedessimo come possiamo trasmettere più efficacemente il nostro messaggio e quindi evitare quel tipo di reazione.
Se a comunicare sono io, la responsabilità della comunicazione è mia, quindi se non ho ottenuto il risultato che volevo devo cambiare il modo di comunicare, provare un altro approccio, e poi un altro fino a che non arriverò a quello più giusto per il mio interlocutore. Si dice: “se una strategia non funziona fai qualcos’altro”. Senza star lì a affliggersi per un fallimento, se un atteggiamento non funziona si prova in un altro modo.
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Il fascino della parola
Tutti conosciamo qualcuno che sa come usare le parole per ottenere quello che vuole, anche se non vogliamo. La parola è la forma più usata per comunicare, e inoltre lascia una traccia, chi non ricorda qualche frase che gli ha inflitto dolore o che gli ha rallegrato la giornata?
Sono le parole e i pensieri che plasmano il carattere di una persona. Quelle che diciamo a noi stessi producono i risultati che conseguiamo nella vita, perché la nostra mente interpreta e segue le istruzioni che le impartiamo.
Quanto bene comunichiamo dipende dalla reazione che suscitiamo, il che significa che solamente noi siamo responsabili del modo in cui i nostri interlocutori ci comprendono. Il successo è determinato dall’abilità di farsi capire.
L’uso della parola è preceduto dal linguaggio dei gesti e del corpo. Questa forma di comunicazione nacque almeno quattro milioni di anni fa, quando il poter camminare eretti rese disponibile le mani, permettendo di comunicare in maniera espressiva. Uno dei vantaggi della comunicazione non verbale è che è silenziosa, importante per non richiamare l’attenzione di animali predatori.
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Il dominio delle emozioni
Crediamo che la realtà crei il nostro stato emotivo, invece la verità è che lo stato emotivo che crea la realtà. Senza le emozioni, i pensieri e le parole non hanno alcun potere. Nell’arco di una giornata ti attraversa la mente una miriade di pensieri che non portano a nulla perché non suscitano in te una forte emozione. Quello che conta è quello che sentiamo. Perché si realizzi, dobbiamo provare un’emozione che lo arricchisca.
La vita non accade, la vita risponde. Dipende da noi essere gli artefici della nostra esistenza, gli autori della nostra biografia, i registi del nostro film. Tutto dipende dalle nostre emozioni, da come ci sentiamo. Le nostre emozioni sono la nostra forza creatrice. Nasciamo con questo potere, però poi subiamo l’influenza di una realtà esterna che ci sposta dall’Io all’Ego, e ci ritroviamo a vivere una vita che non ci soddisfa perché a questo livello non siamo consapevoli di chi siamo, di cosa vogliamo e delle capacità, delle abilità e delle risorse che abbiamo a disposizione. Come ci sentiamo, il nostro rapporto con il denaro, la salute, le relazioni, è un riflesso di quello che abbiamo trasmesso con le emozioni. Che quelle positive ci facciano stare bene e quelle negative male non è né un caso. I pensieri ricorrenti, insieme alle corrispondenti emozioni, diventa- no profezie che si autoavverano. Decidiamo noi quale sarà la nostra vita.
Per chi se lo domandasse, la struttura “E” a cui si accenna nel titolo è la “E” delfica, la grande lettera E che campeggia vicino all’ingresso del tem- pio delfico dedicato ad Apollo e che suona come un incoraggiate invito a chi entra nel tempio perché “conosca te stesso” e cerchi il divino che è in lui.
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Consapevolezza e destino
Il nostro corpo ha in sé il potere di fare qualsiasi cosa; è solo che la mente conscia non ci crede. Rimuoviamo le inibizioni della mente conscia, diamo i comandi giusti al subconscio, e non ci sarà nulla al di là delle nostre capacità.
Per materializzare le proprie esperienze non bisogna far altro che indirizzare i propri pensieri. Anche se la società ci ripete e ci ricorda all’infinito che siamo essere limitati, creature che invecchiano, che vivono la propria vita tra fortuna e destino, in un mondo difficile e impietoso, non siamo qui per essere messi alla prova o giudicati. Siamo noi a creare la nostra realtà, il nostro destino e la nostra fortuna.
Per determinare un cambiamento non servono sangue, sudore e lacrime. Sono la nostra immaginazione, le nostre credenze e le nostre aspettative che ci spingono ad agire, alle circostanze e alle coincidenze che rendono inevitabile la manifestazione dei nostri sogno.
Le nostre abitudini mentali e la nostra immaginazione plasmano e determinano il nostro destino, questo perché rispecchiano il contenuto del nostro subconscio. Per creare il nostro mondo impariamo allora a influenzare il nostro subconscio.
La responsabilità non riguarda la colpa. Dare la colpa a qualcuno serve solo a farlo sentire male e nelle relazioni interpersonali non è utile a nessuno. Colpevolizzare noi stessi non è un modo di assumerci la responsabilità. Assumerci la responsabilità vuol dire che noi, e solo noi, siamo responsabili della situazione. Dalla prospettiva della responsabilità capiamo di avere la forza per far accadere le cose. Da qualsiasi altro punto di vista, come quello del fallimento o della vittima, non possiamo farlo. Da quelle posizioni, infatti, siamo in balia delle “circostanze”.
Per chi se lo domandasse, la struttura “E” a cui si accenna nel titolo è la “E” delfica, la grande lettera E che campeggia vicino all’ingresso del tempio delfico dedicato ad Apollo e che suona come un incoraggiate invito a chi entra nel tempio perché “conosca te stesso” e cerchi il divino che è in lui.
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Il pensiero che crea la realtà
Il pensiero crea. Quante volte lo abbiamo sentito, quante volte ce lo siamo detti. Sembra tutto molto semplice: penso di godere di ottima salute ed essere ricco, e per magia tutto ciò si materializza davanti me. Ma non è proprio così semplice, come ognuno può osservare dalla propria esperienza. Non lo è, fondamentalmente, perché anche se sviluppiamo un’intenzione, dentro di noi, probabilmente inconsciamente, non lo riteniamo possibile.
Il lavoro che dobbiamo fare è trovare il modo giusto per individuare ed eliminare le nostre credenze limitanti, scoprendo molto spesso che è solo questione di cambiare prospettiva, punto di vista. Per questo partiamo dalla fisica quantistica, che ci fornisce la base scientifica, quindi l’autorità, che ci serve per giustificare il funzionamento dei principi presi in esame. Spesso infatti scienza, spiritualità e religione dicono la stessa cosa, con parole diverse. Per dare un’esempio quello che per la spiritualità si chiama “Legge di Attrazione”, per la fisica quantistica è “l’osservatore collassa l’onda in particella” e per la religione è il “libero arbitrio”. Stesso principio, parole differenti. La nostra vita è fatta di priorità, prendiamo continuamente decisioni che ne escludono altre, e che portano a cambiamenti più o meno radicali. Ogni emozione non ha di per sé un significato buono o cattivo: siamo noi che, condizionati dal nostro passato, le interpretiamo e le trasferiamo alle nostre aspettative del momento, generando automatismi, le cosiddette abitudini, difficili da smaltire da soli.
Per chi se lo domandasse, la struttura “E” a cui si accenna nel titolo è la “E” delfica, la grande lettera E che campeggia vicino all’ingresso del tempio delfico dedicato ad Apollo e che suona come un incoraggiate invito a chi entra nel tempio perché “conosca te stesso” e cerchi il divino che è in lui.
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